metropoli gabriele basilico

In occasione della mostra METROPOLI, attualmente in programmazione presso Palazzo delle Esposizioni  riproponiamo un’intervista fatta a Gabriele Basilico nel 2010 da Massimiliano Tempesta, nostro docente del corso di fotografia di paesaggio urbano.

Proprio con Massimiliano Tempesta e Marco Caputi è in programma una visita guidata alla mostra per sabato 7 marzo alle ore 16.

Gabriele Basilico (1944-2013) è stato uno dei maggiori fotografi italiani ed internazionali. Dopo gli studi in architettura inizia la professione di fotografo dedicandosi alla fotografia di paesaggio e più in particolare alla fotografia di architettura.Celebre il suo lavoro su Beirut, fotografata dopo la guerra. Ma ricordiamo anche “Milano,ritratti di fabbriche“, “Bord de mer”,” Gabriele Basilico-Silicon Valley”, “Mosca verticale”.
Con le sue immagini, dalla controllata, consapevole tensione metafisica, egli ha efficacemente collaborato a presentare in questi ultimi anni il gusto post modern, rilevando visivamente alcune dimenticate architetture industriali e di periferia, rivalutate come reperti archeologici e fissate con un chiaroscuro intenso ed una prospettiva sfuggente e basculata, nello stile sofisticato anni ’30”  (Italo Zannier, Storia della fotografia italiana).

1) In “Mission photographique de la DATAR” lei percorre, per conto del governo, la Francia alla ricerca dell’evoluzione del paesaggio.Come lei altri fotografi percorrono la Francia con lo stesso compito. Sarebbe pensabile un lavoro del genere in Italia e lei da dove inizierebbe?
Sarebbe auspicabile, e bisognerebbe iniziare da una sensibilizzazione della committenza, in particolare quella pubblica. Per la verità bisogna dire che molto si è già fatto nel nostro paese, a partire da esperienze molto note come l'”Archivio dello Spazio” con la Provincia di Milano, “Linea di Confine” con la Provincia di Reggio Emilia, le iniziative della DARC/Maxxi Architettura, ecc.

2)C’è una città che vorrebbe raccontare e ancora non vi è riuscito?
Non ce n’è solo una, ma bisogna rassegnarsi: il mondo è troppo grande per essere esplorato assecondando i propri desideri.

3)Lei ha detto che la città è un organismo vivente, antropomorfo.La fotografia proprio per la sua natura di “congelatore” di attimi è il migliore strumento per descrivere l'”organismo vivente città”?

Non so se è il migliore, è quello che conosco meglio perchè è quello con il quale mi esprimo da quando ho iniziato a fotografare.

4)Lei disse, riferito a “Ritratti di fabbriche”, che nasceva da un doppio bisogno. Il primo era una sorta di “mandato sociale” e il secondo di sperimentare nuovi linguaggi senza condizionamenti ideologici. Tutti i suoi lavori nascono da questa doppia esigenza o nel corso degli anni queste esigenze si evolvono e mutano?

In questa doppia affermazione c’era la necessità di definire il senso del “documentario” in fotografia, che per me in quegli anni è stato l’inizio di un nuovo percorso. Tutto quello che è avvenuto dopo, ha dato per acquisito questo passaggio, e non è stato più necessario mettere in discussione ogni volta il senso del mio lavoro.

5)In “Beirut”, “Mosca verticale”, “Silicon valley” lei racconta le città. Racconta una città devastata dalla guerra, una città in bilico tra il vecchio e il nuovo ma comunque in evoluzione, una città all’avanguardia, in un mutamento continuo. Come si fà a raccontare tutto questo?

Mi rendo conto che ogni racconto è sempre molto parziale, come se fosse la punta di un iceberg. Ma anche il poco può raccontare tanto, spesso più di quello che ci sembra di poter vedere. Ci aiuta l’aver chiaro fin dall’inizio un progetto per creare un osservatorio attraverso il quale percepire e registrare ciò che ci sta davanti.
Ault 1985
Ault 1985 (c) Gabriele Basilico