Nato in Valle D’Aosta, ha iniziato a interessarsi alla fotografia a 17 anni, continuando poi a coltivare questa sua passione negli anni degli studi. Si è laureato in Scienze Naturali all’università di Torino, dopodiché nel 2000 ha ottenuto il Ph.D. in zoologia all’Università di Aberdeen (Scozia). Terminati gli studi, ha intrapreso la carriera di fotografo naturalista, unendo la sua creatività alle sue grandi passioni: la fotografia e la natura.
Stefano Unterthiner è oggi considerato uno dei più originali e innovativi fotografi internazionali di natura. Viaggia regolarmente in tutto il mondo per realizzare le sue storie fotografiche. Negli anni, si è specializzato nel raccontare la vita degli animali selvatici, trascorrendo diversi mesi a stretto contatto con i suoi soggetti. Stefano è particolarmente sensibile alle tematiche di conservazione della natura, con particolare attenzione al rapporto tra l’uomo e la fauna.
1) Parlaci un pò di te e del tuo lavoro
Lavoro soprattutto sulla natura, e in particolare sulla fauna selvatica. Ho iniziato da autodidatta a 17 anni, poi non ho più smesso di fotografare. Le prime collaborazioni sono arrivate in Italia, prima con Oasis, poi con Airone. Sono professionista da oltre 10 anni e dal 2009 lavoro soprattutto con il National Geographic americano.
2) Quest anno sei arrivato secondo nella categoria “Nature stories” del World Press Photo con il lavoro “Whooper Swan”. Che difficoltà hai incontrato per realizzare questo lavoro? Quanto tempo hai impiegato per portarlo a termine?
Le solite… riuscire a raccontare la vita degli animali selvatici con scatti innovativi e cercando di mostrare comportamenti o situazioni mai documentate prima. Ogni lavoro, ogni nuova storia è un nuovo inizio, una nuova sfida. Soprattutto quando si deve realizzare una storia per il National Geographic. Ho lavorato per oltre 4 mesi su questa storia: 6 settimane in Giappone e 8 in Finlandia.
3)Da tempo si parla della crisi della fotografia, soprattutto del reportage, si citano sempre mille cause ma sempre pochi rimedi, nel settore del reportage naturalistico come è la situazione?
E’ difficile, soprattutto perché le riviste in Italia sono poche e chi comincia non ha riferimenti, non ha la possibilità di “farsi le ossa” con qualche rivista nazionale, imparare il mestiere, farsi conoscere. All’estero la competizione è tanta, ma il mercato grande e c’è sempre richiesta di immagini e storie di natura. Non penso però che ci sia una crisi della fotografia, né del reportage (forse c’è crisi di idee?). Al contrario: non mancherà, neanche in futuro, la richiesta di news e storie. In tutti i settori, non solo in quella naturalistica. Magari bisognerà adattarsi all’evoluzioni dell’editoria mondiale, però il mondo è “avido” di immagini e storie. Oggi, forse è solo più difficile emergere e vivere bene con il proprio lavoro.
4)Come nasce un tuo reportage? Quante fasi ci sono e quanto tempo passa tra la scelta del tema e l’effettiva pubblicazione?
Cerco di trovare delle storie che mi motivano, degli ambienti che mi affascinano. E cerco di trascorrere lunghi periodi sul campo. La prima fase è lunga ed è quella di ricerca e organizzazione del lavoro. Presento un progetto alla rivista e una volta ottenuto l’incarico inizia la fase “divertente” quella di campo. La pubblicazione arriva anche 6 mesi un anno dalla conclusione del lavoro: dipende molto dalla storia che hai realizzato e dalla rivista con cui lavori…
5)Progetti futuri?
Ho diverse storie che spero di realizzare presto con il National Geographic: la prima dovrebbe portarmi sulle Ande…