Haiti, The Melancholy of Shadows Fotografie di Moises Saman curatrice Chiara Oggioni Tiepolo, Ideatrice Daria Bonera
06 / 10 / 2010 – 27 / 10 / 2010

Haiti, The Melancholy of Shadows
E’ fondamentale, la distanza. Permette di non soffrire troppo, di appassionarsi con distacco, di non sporcarsi le mani o i vestiti. Facile partecipare, da lontano, affezionarsi alle faccette tonde e agli occhi liquidi dei bambini, commuoversi per il pianto altrui di una perdita, di una persona o di un poco di vita che sia. Siamo abituati a reagire emotivamente ai grandi disastri, molto meno ad approfondire la conoscenza di una realtà. Che era già troppo tragica, molto prima che crollasse in un cumulo di corpi e di macerie. Molto prima che la parola “terremoto” intervenisse a codificare in una terminologia comprensibile una realtà catastrofica. Ci sono situazioni di cui semplicemente non si parla. Troppo poche, rispetto ai grandi numeri, le persone coinvolte, pochi gli interessi in ballo, poco strategica la posizione, poca l’attenzione delle organizzazioni preposte. Ci sono situazioni in cui la differenza tra poveri e poverissimi diventa una questione sostanziale, e non più di sfumature. Prima del sisma, Haiti era comunque un paese in guerra. La violenza era all’ordine del giorno, le bande armate tenevano sotto scacco i residenti nei quartieri più poveri e diseredati, le bidonville, la percentuale di omicidi era una delle più alte dell’intera America Latina. La popolazione era comunque povera, ignorante, disoccupata e malnutrita. Si combatteva per un pezzo di pane, per conquistare una baracca, o semplicemente per non venire uccisi a propria volta. Ai bambini non era garantito un livello minimo di sanità, istruzione e protezione. Era il paese caraibico con i peggiori indicatori economico-sociali di tutto l’emisfero occidentale. Eppure quasi nessuno se ne curava. Haiti è sempre stata la polvere che si nasconde sotto il tappeto per potersi permettere di essere spensierati, l’altra metà di quel caribe allegro e musicale e leggero che si vuole meta di vacanze e divertimento, il Bellerofonte di una Chimera dai pacchetti all inclusive di turisti, soldi e sviluppo. Qui non sono mai arrivati profumi dolciastri e speziati e note suadenti. Il terremoto che il 12 gennaio scorso ha devastato l’isola non ha fatto altro che portare alla luce una realtà di povertà e miseria nei confronti della quale il resto del mondo, e la comunità internazionale, ha sempre girato la testa dall’altra parte. Moises Saman ha deciso di raccontare questa zona nella sua doppia sfaccettatura del prima e dopo, con un linguaggio sospeso a metà fra il pittorico e il fotogiornalistico, e un attenzione particolare per l’umanità, troppe volte messa in secondo piano. Scrisse il poeta haitiano Louis Philippe Dalembert nella sua profetica kariblues: tre volte passerà e la morte dirà l’assoluto senza un solo sguardo per la storia preferendo l’umano sgomento per scrivere le sue note all’inverso tre volte passerà resterà una favola mattutina si trovò un mendicante gli occhi crivellati di disprezzo (e la notte che se ne andava le mani inzuppate di sangue) tanti morti ci sono negli occhi della mia isola.
Chiara Oggioni Tiepolo
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