“Le cose, quando le guardiamo, sono uguali a quello che sembrano quando non le stiamo guardando: pensai che se avessi regolato una macchina fotografica in modo che scattasse automaticamente in una stanza in cui non ci fosse alcuna presenza umana, sarei riuscito a cogliere le cose alla sprovvista, e a conoscere così il loro aspetto reale.”
(José Saramago . Il Quaderno)
In questa frase è racchiuso il senso e il modo in cui nascono le immagini che fanno parte di questa esposizione. Appunti di un viaggio urbano, all’esterno di tutto, dove la città si svela lentamente, con un timido incedere di dettagli che sbucano da dietro gli angoli, tutti gli elementi affiorano nelle immagini, per ultimo il fattore scatenante della città stessa: l’uomo. Forma, espressione, ironia, attesa, geometrie, povertà e abbandono tutto si sintetizza in un unico “brano” visivo. Come sosteneva Henry Cartier-Bresson : “Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. Fotografare è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale. E’ un grido, una liberazione!”. E’ questo forse la linea guida su cui si fonda il lavoro di Scirè, un rapporto diretto tra realtà e cuore, una fascinazione per gli attimi che casualmente si inseriscono nella nostra vita generando emozioni. Emozioni che l’autore cerca di catturare per poi regalare allo spettatore che con curiosità si accinge ad esplorare la sua fotografia cercandovi elementi della città, volti che quotidianamente si incrociano andando a lavoro e sensazioni che si sono impresse nella nostra memoria. Francesco Scirè
Galleria 291 Est
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