Napoletano del 1976, Esposito vive e lavora a Napoli. Inizia come assistente fotografo alla fine degli anni 90, passa al professionismo nel 2004, collaborando stabilmente con un quotidiano cittadino. Freelance dal 2006 per agenzie nazionali ed internazionali. Contemporaneamente intraprende lavori di reportage a lungo termine sulla criminalità a Napoli. Dal 2009 è rappresentato da Contrasto.
1) Dal tuo reportage su Scampia che volto di Napoli viene fuori?
Dal mio reportage di Scampia viene sicuramente fuori il volto di una parte di Napoli che è stata abbandonata a se stessa. Di una parte di Napoli addirittura voluta. Mi spiegherò meglio: il piano regoltatore 167 (da cui il famoso nome che si attribuisce al quartiere “La 167”) ha prodotto a mio avviso innumerevoli danni, perchè si sono formati quartieri ghetto (vedi anche il Rione Traiano a Fuorigrotta). Questo piano messo a punto per i senza casa del terremoto ha portato nello stesso luogo persone che soffrivano lo stesso disagio e cioè mancanza di casa e di lavoro. Si sono formati così veri e propri agglomerati urbani con persone che hanno avuto la casa ma soffrivano ancora del disagio lavorativo ,in più erano abbandonati a loro stessi in questi quartieri periferia dove ancora oggi mancano molte infrastrutture. Cosa ne poteva mai venire fuori dovrebbe chiedersi l’ aministrazione comunale. E’ stata solo una speculazione edilizia che ha messo insieme i disagiati della città dove la malavita ha trovato terreno fertile per aruolare i suoi soldati.
Quindi è il volto che ne viene fuori è quello si di una Napoli delinquenziale, ma di una Napoli abbandonata dalle istituzioni.
2) Un lavoro “delicato” come Quello su Scampia quanto dura? Quali sono le sue fasi? Quali difficoltà si affrontano?
Un lavoro come quello su Scampia può durare in eterno nel senso che ci sono sempre cose da raccontare in contesti come quello, ma per raccontare un minimo l’intensità di quella realtà bisogno starci abbastanza. Io ci sono stato per 2 anni, il tempo serve a permeare in una società così chiusa e diffidente. In ambienti come quello si arriva a diffidare perfino dei genitori figurarsi di un estraneo.
Le “fasi”, se cosi vogliamo chiamarle sono innumerevoli, ma per prima cosa bisogna avere la possibilità di instaurare una rapporto umano con le persone che vivono quell’ambiente. Bisogna entrare in contatto con loro in maniera semplice e libera da pregiudizi altrimenti si corre il rischio di compromettere il lavoro. Perlomeno questo è il modo in cui ho affrontato io la cosa. In seguito in maniera lenta bisogna permeare ed essere bravi a guadagnare fiducia. Ci sono comportamenti che non riesco a spiegare sull’andamento del mio lavoro perchè forse da napoletano mi sono venute spontanee.
Per quanto riguarda le difficoltà, beh quelle ce ne sono a volontà. La prima è che tu possa non piacere a loro ed è la cosa più probabile perchè come dicevo prima è un ambiente molto diffidente e purtroppo molto spesso la parola giornalista è sinonimo di polizia , basta che ci sia un arresto li mentre lavori e chiunque puo addossarti la colpa di questo. E’ tutto estrememente delicato. Può finire molto male se sbagli a comportarti o se vengono interpretrate male le tue azioni. Sei continuamente sotto esame e devi stare attento.
3) Dopo aver terminato un lavoro come si svolge la fase di editing? quali sono i canoni che le foto devono possedere? costruici la storia in base alle foto che hai o già sai che storia vuoi mentre scatti?
Per quanto riguarda l’editing, io vengo aiutato dal photoeditor dell’agenzia ed è una cosa che mi aiuta tanto perchè mi cambia la visione del lavoro al quale posso essere legato emozionalmente e magari sceglierei foto solo perchè ci sono affezionato ma magari altre raccontano meglio la storia.
Le foto poi devono essere diverse l’una dall’altra e raccontare tutte le cose che sono importanti raccontare in una storia. I canoni che io ho voluto che le mie foto avessero per questo lavoro sono: potenza e verità.
Solitamente sia mi lascio trasportare dalla storia sia a volte una parte l’ho in mente.
4) come è il tuo rapporto con i fotoeditors? Nella scelta delle foto da pubblicare vincono sempre loro o riesci a mediare su alcuni scatti che reputi più riusciti?
Il mio rapporto con i photoeditors è buono ma sono loro a scegliere le foto e questo purtroppo a volte è anche un’esigenza del loro giornale.
5) Rispetto a quando hai iniziato a lavorare nella fotografia il tuo stile è cambiato?
Sicuramente il mio stile è cambiato, si è perfezionato ma io ho sempre creduto di voler lavorare in questo modo e credo che continuerò cosi, sperando di riuscire ancora a migliorare.