Il WSP ha il piacere di intervistare uno dei maestri della fotografia italiana Francesco Cocco. Recanatese nato nel ’61, lavora per Contrasto. Autore di Prisons (Logos, 2003), Nero (Logos,2007) sull’immigrazione. Tra gli autori del lavoro Beijing In and Out.
Ringraziamo Francesco per averci regalato uno scatto inedito del suo nuovo lavoro.
1)In Francia hanno preso piede i collettivi fotografici ed ora anche in Italia stanno nascendo realtà collettive interessanti. Allo stesso tempo Grazia Neri chiude e le altre agenzie traballano. Il collettivo è un evoluzione dell’agenzia classica, vedi Magnum o Contrasto, o è solo una moda passeggera?
Non sono in grado di poter dire se i collettivi possono o no essere delle evoluzioni delle agenzie fotografiche o se addirittura possano sostituirle, forse potrebbero semplicemente essere delle interessanti alternative, far si che i fotografi si riappropino della fotografia non bisogna immaginarla come un utopia, oggi in questo settore già da tempo in crisi credo ci siano troppe figure che improvvisano le proprie competenze.La mia idea di collettivo resta comunque un pò diversa, i fotografi dovrebbero sforzarsi di lavorare più a stretto contatto, dovrebbe esserci uno scambio maggiore sia dal punto di vista professionale che personale umano, una consapevolezza maggiore dell’importanza di questo straordinario mestiere, di come lo si svolge, in pratica una maggiore condivisione, questo credo possa far bene ed essere un modo sano per contaminare le visioni dei singoli e di conseguenza modificare e aiutare ad evolvere il linguaggio.
2)Oltre a “Beijing In and Out” quali sono le tue esperienze di lavori collettivi? I lavori collettivi sono utili per crescere o lo stile del singolo rischia di perdersi per equipararsi gli uni agli altri?
Prima di “Beijing In and Out” avevo preso parte al progetto “ Eurogeneration “ , poi ho lavorato in Cambogia con Lorenzo Pesce e in tempi recenti sono stato in “ Afghanistan “, un progetto per Emergency, mi riferisco sempre e comunque a lavori collettivi realizzati insieme ad altri fotografi della mia stessa agenzia. Non trovo sia particolarmente utile per crescere se per crescita si intende quella professionale, va da se che gli stimoli siano sempre forti, ci si sente parte di un gruppo, aiuta molto anche quella che io chiamo “ sana competizione “ ma al contempo non credo influenzino o inibiscano il modo di vedere o lo stile dei singoli. In questi casi appena citati sono sempre stati scelti degli autori con una specifica personalità fotografica, forse in fondo è proprio questa la formula che consente di confezionare un buon risultato.
3)In reportage come “Patrizia” la persona è il fulcro della storia, la protagonista. In altri come “Darfur” o “Body Building”le persone sono delle comparse dove la vera protagonista è la storia che loro raccontano. Lavori cosi diversi hanno le stesse difficoltà realizzative?
In tutti i miei lavori le persone sono i protagonisti delle storie che cerco di raccontare, a volte come dici tu esse svolgono un ruolo di comparse ma alla fine è sempre attraverso di loro che cerco di raccontare la storia. Semplicemente ad un certo punto del mio percorso ho sentito l’esigenza di provare ad andare oltre, di focalizzare il racconto su singoli soggetti, come nel caso di “ Patrizia “.Le difficoltà sono diverse ma ugualmente è difficile, in un luogo, in una situazione aperta, dopo un pò cerchi di diventare invisibile o parte integrante di quella situazione. Con una singola persona la complessità diventa riuscire a raggiungere quella particolare sintonia che solo col tempo poi si può trasformare in complicità.Patrizia non era una mia amica quando le ho proposto di farsi fotografare, lo è diventata durante e consapevole della sua condizione ha ugualmente accettato.
4)Cosa ti spaventa nelle situazioni che il tuo lavoro ti porta ad affrontare? se c’è qualcosa che ti spaventa.
Tutte le volte che ci si appresta ad affrontare un nuovo lavoro trovo sia normale e lecito avere dei timori, non credo sia la paura per l’incognito, per ciò che mi riguarda trovo affascinante questa condizione, non credo sia nemmeno quella cosa che viene a volte chiamata ansia da prestazione, dopo anni di esperienze questi stati d’animo riesci a gestirli e li tieni dietro alle spalle.La mia più grande paura sicuramente è di non riuscire nelle situazioni in cui vado a rimanere me stesso, riuscire a mantenere la mia obiettività. E’ molto importante riuscire a rimanere se stessi senza perdersi nell’evento, avere la consapevolezza che in quel momento sei un protagonista dell’evento ma come attore, come Francesco che diventa parte di quel teatro ma resta se stesso. Questo porta a cercare di essere il più possibile obiettivi rispetto a quella situazione.
5)A cosa stai lavorando ora?
Ci sono momenti in cui hai la testa piena di idee ma pochi buoni propositi o scarse energie, altri momenti in cui questo si rivela esattamente al contrario. In realtà ho diverse cose aperte, una tra queste sicuramente è continuare a sviluppare il mio progetto sull’immigrazione, in questo periodo ho però ripreso il mio lavoro sulla prostituzione in Italia e spero di riuscire ad allargare il progetto anche ad altri luoghi del mondo.
6)Reportage come “Patrizia”, “Cecità”, “Darfur”, “Prisons” ma anche “Body Building” raccontano di persone prigioniere di “qualcosa”, chi della malattia, chi di un luogo geografico, chi di 4 mura, chi di un personale concetto di bellezza. Hai una predilezione per storie di persone private di qualcosa?
Si è vero! Ho sicuramente una grande attrazione rispetto alle situazioni forti a volte estreme, le prediligo, sicuramente è una attitudine, una mia predisposizione, credo che si fotografi anche quello che si è, la fotografia è anche specchio di se stessi. Scendere nelle vite degli altri, nel disagio umano senza sottrarmi di fronte al dolore, senza risparmiarmi non mi limita ad essere un osservatore esterno.Devo vivere i luoghi e le persone che fotografo. Devo entrare in sintonia con quelle persone che poi faranno parte delle mie fotografie.Trascorrere del tempo con loro mi regala il privilegio di conoscerli ma anche di svelarmi, è interessante! Si abbassa la guardia.