Croato classe ’66, si avvicina alla fotografia negli anni ’80 ed inizia a collaborare con riviste e quotidiani croati. Allo scoppio della guerra affronta la sua prima prova da fotoreporter documentando gli orrori della guerra. Si trasferisce nel ’93 in Italia e dal ’95 risiede stabilmente a Bologna. Vincitore di Fotoleggendo 2006 con “Frammenti di un ricordo”.Fotografo freelance ed insegnante, organizza workshop in Croazia.

1) In molti dei tuoi lavori si respira l’esperienza che hai vissuto durante la guerra del 1991, la fotografia è stato un mezzo per “esorcizzare” quei momenti o attraverso il tuo personalissimo stile è stato solo un modo per documentare il dramma di un popolo?

Nel caso di -Frammenti di un ricordo-, posso dire che la fotografia mi ha permesso non tanto di esorcizzare, quanto di vedere da esterno uno spaccato della mia vita personale che non ha coinvolto solo me ma l’intera area balcanica e gli eserciti delle varie nazioni intervenute. Non si può pensare alla fotografia di guerra solo e unicamente ad un documento. Queste immagini andrebbero lette come un processo di sedimentazione. Il risultato, sulla propria pelle, di un incubo che ti accompagna per anni anche dopo la fine di un conflitto, e che chiede di essere interrogato, argomentato e riconsegnato alla realtà attraverso altre immagini, sperando che queste non feriscano inutilmente l’occhio ma che a distanza, attraverso il gesto d’arte possano diventare una forma di riflessione. Per arrivare a questo non si può ragionare da fotoreporter o da giornalista ma da chi è nato in quei luoghi e inquadra la guerra con meno filtri, se non quello dell’incredulità per quello che avviene sotto i propri occhi. Il vero lavoro in questo caso non è l’immagine in sé ma il processo che le ha riportate alla luce. Il frammento è il risultato di una memoria lucida quanto umanamente desiderosa di dimenticare al più presto, per tornare alla normalità della vita. Il dolore non si può cancellare ma può essere declinato in una forma più sopportabile. E con la forma espressiva che caratterizza questo lavoro, parlo del conflitto nella mia città d’origine ma soprattutto dell’eco di una guerra che ancora risuona nei momenti di pace.

2)Nel lavoro “Visite” ci mostri L’isola di Sestrunj. Citando la tua presentazione del lavoro la descrivi come “…un sito archeologico a cielo aperto da scoprire, da interrogare. “.Possiamo definire quest’isola come l’anello di congiunzione tra la Crozia pre-guerra e la Croazia post-guerra? Oggi come si può descrivere la Croazia e qual è il tuo rapporto con la Croazia?

Anche in questo caso, Sestrunj è..come dire? Un pretesto per parlare di qualcosa di più grande, di un andamento sociale radicato nella penisola quanto nelle apparenti intatte realtà isolane. Queste ultime sono le prime che subiscono le conseguenze di un conflitto. “Visite” parla soprattutto dello spopolamento del territorio, spesso dovuto ad una crisi post bellica. Le isole sono terre ideali per rifugiarsi quando si scappa come le prime ad essere abbandonate. In ogni caso sono piene di tracce che aiutano a capire certi passaggi storici. Sono come particolari osservatori. Da lì puoi capire come funziona la terra ferma. Avverto la Croazia come un territorio che cerca di guardare avanti nascondendo il dolore, inseguendo una svolta economico-politica. Torno a Zara ogni anno, vivendo lì qualche mese, sia d’estate che d’inverno e vedo la doppia faccia della medaglia. Lo sviluppo economico da solo non basta per superare e arginare le ferite della guerra, e ancor meno dimenticare. Sono convinto che coltivare la memoria, spoglia di rivendicazioni, possa essere uno strumento da insegnare alle nuove generazioni perché si recuperi quella speciale concentrazione di diversità in un’area geografica così piccola come quella dei Balcani e fare di questa condizione un esempio scelto e consapevole di una pace e convivenza possibili.

3) Sei tornato nei luoghi di “Frammenti di memoria”?

Sì, certo. Sono tornato in quei luoghi, quelli raccontati attraverso le mie fotografie, quelli del mio immaginario. Sono tornato per raccontare i cambiamenti visibili all’occhio umano. Il risultato è in un lavoro dal titolo “Dieci anni dopo”. Sono andato a cercare le stesse angolazioni e se dove era possibile, le stesse persone che comparivano negli scatti fatti durante la guerra. Sono andato a memoria, come un esercizio di riconoscimento, non sbagliandomi di molto, cambiando giusto alcune inquadrature.

4) Come nasce il Marnika fotografo? Consigli per chi vuole intraprendere la professione del fotografo.

Ho iniziato a fotografare nel bel mezzo degli anni ottanta, un periodo ricco di eventi e stimoli vari. Ho mosso i primi passi un po’ per caso in una camera oscura dello studentato dove alloggiavo, ai tempi dell’università, a Zagabria. Le prime pubblicazioni nei giornali studenteschi e da lì a ho proseguito, facendo della fotografia una costante nella mia vita.Una grande passione che ho trasformato in lavoro. Certo non è facile. Oltre ad un costante aggiornamento, è soprattutto l’esperienza a fare da padrona in questo mestiere. Non parlo solo di perfezionamento tecnico ma di sensibilizzazione dello sguardo. L’unico modo per conoscere bene la fotografia è studiarla ma soprattutto praticarla: osservando, variando punti di vista, confrontandosi, sperimentando.E’ importante, inoltre saper filtrare e riconoscere quando un’immagine è portatrice di contenuto o fine a se stessa e in tal caso non avere paura di  fermarsi.

5) Progetti futuri?

Tanti. Sicuramente continuo il lavoro sul sociale nel mio paese. E poi la ricerca personale che coltivo e porto avanti fin dagli inizi della mia carriera fotografica.

Fragments of memory-kod skrbana Robert Marnika

 

 

Link:

Robert Marnika