Il WSP ha il piacere di intervistare uno dei maggiori esponenti della fotografia italiana, Alex Majoli.
Ravennate classe ’71, attivo fin dall’adolescenza nel mondo della fotografia. a 18 anni era già nella ex- jugoslavia per documentare gli orrori della guerra. Membro della Magnum dal 2001.
1) In una recente intervista hai paragonato il fotografo al samurai, hai trovato tra i due una comunanza negli atteggiamenti e nella preparazione. Come il samurai era al servizio del suo signore cosi il fotografo deve essere al servizio dell’informazione. E’ giusto essere essere sempre al servizio dell’informazione, documentare sempre tutto o in alcuni casi, particolari, è giusto fermarsi?
La storia del samurai e’ un po’ vecchietta . nasce da una cena e da alcuni libri e supposizioni avute piu’ di 10 anni fa’ . non ha nulla a che vedere con l’essere al servizio ma con la disciplina che i samurai applicano e con la devozione ai rituali . cioe’ non credo che si possa insegnare a fare fotografie ma solo la filosofia della fotografia ma nel frattempo si puo’ adottare tecniche di esercizio alla fotografia ; si puo applicare lo stesso atteggiamento che i samurai applicavano all’arte della guerra.
2)A 18 anni eri già fotoreporter professionista, poco dopo eri già in jugoslavia per documentare la guerra, hai affrontato situazione che la quasi totalità dei giovani in quell’età evita o, giusto pochi, sogna solamente di affrontare. Senti che ti manca qualcosa?
Ma guarda la mia e’ stata una scelta obbligata piu’ che cercata fin da quando ero piu’ giovane. sento che manca stabilita’ in molti aspetti della mia vita che si riflettono anche nel mio lavoro di conseguenza. per quanto riguarda la parte dei giovani che evitano…… io dico solo una cosa che i giovani sembrano non avere capito per niente : la liberta’ non sta nell’essere liberi di fare o non fare certe cose ma sta nel non aver aver paura. e potevo anche citare gaber con la partecipazione con il quale sottoscrivo pienamente l’idea ma ha sempre una sfumatura politica la partecipazione mentre la paura e’ quello che ha a che fare con il nostro individualismo.
3)Inizi con un reportage sul manicomio di Leros, lavori molti mesi in Sudamerica per il progetto “Requiem in Samba”, da anni lavori ad “Hotel Marinum”, ci sono dei punti in comune, nei tuoi progetti o cerchi un approccio differente per ogni lavoro?
I 3 progetti che tu hai appena citato hanno forti conessioni tra loro e forse per questo sono e saranno sempre incompiuti icluso leros anche se e’ gia’ diventato libro. ma nella totalita’ del mio lavoro ci sono molti altri aspetti che nascono da idee piu’ che da incontri… citerei libera me e one vote o addirittura c’e tutto uno strato di lavoro che viene da assignments che portato su un tavolo di professori di fotografia non verrebbe considerato ma e’ il pane della mia vita e di quella della mia famiglia. sai si elogia Eugene Smith per essere morto lasciando 18 dollari sul conto perche’ era devoto alla causa della fotografia (mentre faceva set up e sandwich) ma vai a chiedere a sua moglie e ai suoi figli cosa ne pensano di questo. Ogni fotografo ha la responsabilita’ di essere un uomo onesto e coerente prima di essere un eroe.
4)Qualche consiglio per chi vuole intraprendere questa professione.
Non intraprendere questo mestiere …. se proprio uno e’ convinto allora cerchi di farlo con calma e riflessione e lasci il “festival di sanremo” a chi vuole arrivare primo e non raccontare quello che vede.
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